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Perché l’Italia non vuole le etichette Nutri-Score

C’è un fantasma che aleggia sui tavoli negoziali agricoli europei.
nutri score
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C’è un fantasma che aleggia sui tavoli negoziali agricoli europei. Si chiama Nutri-Score, per il momento è stato esorcizzato, ma tornerà. Al contrario dei fantasmi tradizionali è colorato e parla tedesco e francese. Le sue matrici sono economiche e culturali, ed è estremamente tenace, e quindi molto pericoloso.

Nutri-Score è un’etichetta. In Italiano si direbbe etichetta nutrizionale.  Il 15 Dicembre scorso all’ultima riunione plenaria del consiglio dei ministri dell’Agricoltura dei paesi europei, la Germania, presidente di turno fino alla fine del 2020, con l’appoggio della Francia ha cercato di farla approvare rendendola obbligatoria su tutti i prodotti europei. L’opposizione dell’Italia, soprattutto dell’allora ministro dell’Agricoltura Teresa Bellanova, è riuscita ad evitarlo, vincendo questa battaglia, ma non certo la guerra.

Un esempio di etichetta Nutri-Score.

L’idea potrebbe non essere sbagliata, creare un’etichetta uguale per tutti i prodotti e tutti i paesi europei a partire dal 2022, che contenga tutte le informazioni sul prodotto in vendita, e garantisca il consumatore. Ma forse questa portata avanti da francesi e tedeschi non è la soluzione migliore. Chiamata anche “etichetta a semaforo” sarebbe una strisciolina da stampare in evidenza sull’etichetta di corpo, con 5 colori, dal verde al rosso, e le prime cinque lettere dell’alfabeto, a-b-c-d-e. Colori e lettere classificherebbero la “nocività” dell’alimento confezionato. Oggi le informazioni in etichetta già ci sono, secondo le norme europee ogni etichetta deve indicare denominazione di vendita, elenco degli ingredienti, additivi, termini di scadenza, produttore, lotto di confezionamento, se il prodotto è biologico o OGM, indicazioni nutrizionali, modalità di conservazione, sostanze allergizzanti. Tuttavia c’è chi dice che spesso queste informazioni non sono chiare, le aziende produttrici tendono ad usare caratteri diversi per le varie componenti, rendendo l’etichetta di difficile lettura, spesso si usano formule criptiche che traggono in inganno. E, ovviamente, viene da chiedersi quanti consumatori abbiano la pazienza, e gli occhi sufficientemente acuti per leggere caratteri minuscoli in un angolo nascosto della confezione. Una standardizzazione assieme ad una maggior chiarezza, sarebbe auspicabile, ma qui iniziano i problemi.

Se la faccenda sembra marginale in realtà non lo è, e nasconde istanze culturali e problemi economici. Fautori di questa tendenza sono Germania e Francia, assieme al Belgio, ed in generale i paesi del Nord Europa che ruotano attorno all’asse franco-tedesco. L’Italia è in prima linea a fare il bastian contrario, ma seppur lentamente altri paesi le stanno andando dietro. E come spesso in Europa, i problemi si complicano perché economia e cultura si fondono.

L’Italia accusa l’Europa di voler penalizzare attraverso questa etichetta la dieta mediterranea. In parte è vero. I parametri presi in esame, avrebbero lo scopo di aiutare il consumatore a seguire abitudini alimentari più salutari, una specie di “bignami” del nutrizionista. Il calcolo viene fatto su 100 grammi di prodotto, analizzando la quantità di zuccheri, sale, grassi saturi ed altre sostanze considerate a rischio contenute. Potrebbe essere una buona idea, e lo è secondo Walter Ricciardi, medico, ex consigliere del ministro Speranza, assurto alle luci della ribalta grazie ai suoi interventi sulla pandemia.

Pero…Però. Un sistema di questo tipo mette sullo stesso piano prodotti molto diversi, in un continente, dove la diversità alimentare impera. I vari parametri vengono in qualche modo uniformati, non tenendo conto delle diversità di utilizzo dei vari prodotti. “Bibite zuccherate, come ad esempio la Coca Cola” – sottolinea Maria Stella Gelmini, neo ministro del governo Draghi – “sono considerate più salutari del Parmigiano Reggiano, dell’Olio Extra vergine di Oliva, del Prosciutto di Parma”. È vero che a nessuno, si spera, verrebbe in mente di condire l’insalata con la Coca Cola, ma all’Italia interessano di più gli altri prodotti. Quanto è evidente, è che non si possono mischiare le mele con le pere, fare di tutta l’erba un fascio.

Insomma Coldiretti, Federalimentare, Ministero dell’Agricoltura, assieme al nostro Ministero dell’Agricoltura sono in trincea. L’Italia ha proposto una grafica forse meno d’impatto, ma che tenga conto delle percentuali di certe sostanze di cui sarebbe opportuno evitare o ridurre il consumo. Insomma, salvaguardiamo il principio, senza terrorizzare il consumatore . L’ha chiamata Nutrinform Battery, introducendo un altro termine complicato in questa complicata vicenda. “Nutri-Score non si basa su un principio scientifico, ma fa perno su principi nutrizionali ed un algoritmo che non sono riconosciuti dalla scienza e tendono a discriminare questo o quel cibo” dice Ivano Vacondio, presidente di Federalimentare. “Nutriform non classifica nessun cibo come insalubre, ma ne illustra la giusta quantità da assumere giornalmente”.

Per il momento è muro contro muro. E i due fronti si combattono su due terreni diversi, economia e cultura. Si potrà bere un bicchiere di Coca Cola, ma nessuno pensa di bere un bicchiere di olio, o mangiare un chilo di prosciutto. L’etichetta a semaforo non indica la “pericolosità” di un prodotto in rapporto alla quantità consumata. La dieta mediterranea verrebbe senz’altro penalizzata, le eccellenze italiane perderebbero d’importanza. Vacondio sostiene che si tratti di una guerra “commerciale” nella quale i nostri prodotti d’eccellenza, dal Prosciutto di Parma, al Parmigiano Reggiano, l’Olio extravergine d’oliva verrebbero penalizzati. Sono prodotti ad alto valore aggiunto, che l’Italia vende bene all’estero grazie alla loro qualità, e il cui mercato si potrebbe ridurre fino al 50%. Insomma, ancora una volta la cultura deborda nell’economia.

I prodotti citati funzionano perché una fascia di consumatori è disposta a pagare un prezzo più alto per le loro eccellenze. Abbiamo visto lo stesso fenomeno con la concorrenza cinese nella moda, nel pret-a–porter, nei vini, dove però l’Italia, con la tracciabilità delle DOCG  ha già alzato delle belle difese. L’agroalimentare è un settore forse più complicato. Certo per la biodiversità europea, le enormi differenze nutrizionali nel vecchio continente. La Germania e Francia, che speravano di poterla approvare entro lo scorso anno, spingono molto sull’etichetta a “semaforo” , la Nutri-score, perché aiuterebbe i supermercati. Tedeschi e francesi hanno filiali di loro catene in tutta Europa, da Lidle ad Aldi, da Billa a Carrefour, Auchan. È ovvio che per il cliente distratto, frettoloso, e spesso poco informato di un supermercato, un “semaforo” è un indirizzo all’acquisto molto forte, e sarebbe facile per queste catene creare dei prodotti a basso contenuto di zuccheri o grassi saturi da presentare come nutrizionalmente molto sani.

Nel negoziato Europeo l’Italia è sostenuta dalla Spagna, maggior esportatore d’Europa di olio extravergine d’oliva, e da una schiera di altri paesi, Cipro, Ungheria, Lettonia, Romania. Per il momento il problema è stato accantonato, ma si dovrà risolvere entro il 2022. Il nostro paese ha tempo di trovare altri fiancheggiatori. Proposta italiana a parte, una terza via, che esiste sempre se c’è la buona volontà per cercarla, potrebbe essere quella già adottata nei paesi scandinavi, un bollino verde che premi il prodotto migliore della sua categoria. Di certo i prodotti italiani non verrebbero penalizzati.

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