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Quattro chiacchiere e un bicchiere di vino

La storia delle chiacchiere è incredibilmente antica: le loro origini risalgono addirittura ai Saturnali dell’antica Roma.

Friabili, dorate, rettangolari, spolverate di zucchero a velo, le Chiacchiere fanno la loro comparsa nelle vetrine di fornai e pasticcerie (e anche sui banchi dei supermercati) per tutto il periodo di Carnevale, ossia dall’Epifania, in gennaio, fino al mercoledì delle Ceneri, ossia all’inizio della Quaresima.
I nomi di questo dolce sono tanti quante le regioni d’Italia, anzi forse di più. I più noti sono quelli di bugie, cenci, frappe, galani, crostoli e proprio questo caleidoscopio di nomi testimonia il loro profondo radicamento nella cultura culinaria del nostro paese. La storia delle chiacchiere è incredibilmente antica: le loro origini risalgono addirittura ai Saturnali dell’antica Roma. In questo periodo, si cucinavano dolci fritti nel grasso di maiale (frictilia), distribuiti alla folla fra le strade della città. Il celebre gastronomo romano Apicio le descrive come “Frittelle a base di uova e farina di farro tagliate a bocconcini, fritte nello strutto e poi tuffate nel miele”: ricetta che è rimasta più o meno la stessa attraverso i secoli.

Nel 1560, troviamo la ricetta nei testi del gastronomo rinascimentale fiorentino Domenico Romoli che cita come ingredienti solo farina, uova e zucchero. Dieci anni dopo, nel 1570, il suo contemporaneo Bartolomeo Scappi ripropone la ricetta con l’aggiunta di acqua di rose e sale. Quelle frappe probabilmente avevano una consistenza diversa dalle attuali, più friabili grazie all’aggiunta di burro nell’impasto.
La ricetta moderna è pubblicata nel tardo Settecento da Francesco Leonardi, con il nome di “flappe”. Pochi anni dopo, Vincenzo Agnoletti aggiunge la scorza di limone e propone anche una versione “di magro”, in cui utilizza i soli albumi delle uova e olio al posto del burro, sia nell’impasto sia per la frittura.

Negli anni successivi, molti autori forniscono la propria versione, modificando le dosi e sostituendo alcuni ingredienti, ma soprattutto variando il nome. È così che nel 1844 appaiono le Frittelle fiamminghe, in cui viene introdotta l’acquavite (che ancora troviamo in alcune regioni), seguite da Nastrini delle monache, Gonfioni, Intriconi. Pellegrino Artusi propende per il toscano Cenci, mentre Ada Boni utilizza un ecumenico Frittelline di Carnevale. Infine, Anna Gosetti della Salda riporta quattro versioni: Chiacchere o Lattughe in Lombardia, Sfrappole in Emilia, Cenci in Toscana e i Crostoli in Trentino (con maggiori dosi di burro e zucchero).

E per l’abbinamento? Si suggeriscono vini bianchi, amabili, non strutturati né troppo alcolici, vivaci e freschi. Ideale il Moscato d’Asti, leggermente frizzante, ma anche passiti e vendemmia tardive, purché non troppo importanti.

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