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La tradizione dev’essere rivisitata. In memoria del grande cuoco Mario Musoni.

Musoni rivisitava la tradizione culinaria, si sforzava di sradicare le pratiche barbariche (come per esempio l’eccesso di grassi saturi…) e di arrivare, se si poteva, all’essenza. Per questo ci vogliono scienza e inventiva, e lui le aveva, fino al genio.
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La cucina lombarda? Magari buona, ma dal punto di vista alimentare equivale a una rapida successione di pugni al fegato. (Preciso, a scanso di accuse infondate, che io sono lombardo al 93,75%, il 6,25% mancante essendo ungherese.)
Non ci siamo, non ci siamo proprio, anzi: non ci siamo più. Andava bene una volta, quando per tutta la settimana si mangiava polenta con la saracca, o riso e fagioli, per poi forse vedere qualcosa di più proteico e lipidico la domenica e ancora più nei rari dì di festa: finivi la tua cassoeula e poi andavi a disboscare la golena, un lavoro da novemila calorie al giorno. La vogliamo capire? In un testo sull’economia della schiavitù negli Stati della Confederazione (ebbene sì, ho di queste letture) ho appreso che i neri schiavizzati lavoravano anche dodici ore al giorno e per tutto alimento, si scandalizzava l’autore, ricevevano «una kasha di mais» con un po’ di bacon. Ohei, brava gent, la kasha di mais da noi si chiama polenta, e se la chiami kasha né accorre da te né ti degna di risposta. I miei trisnonni, nel mio paese contadino, lavoravano quattordici ore e col cavolo che gli davano la pancetta insieme alla polenta. Però quando andava bene si rifacevano la domenica, se erano abbastanza in grana. E a Natale fioccavano i ravioli in brodo, il salame, il cotechino, la frutta secca e perfino, se c’era, un “portogallo” per sostituire l’uva conservata nei cassetti, che facilmente prendeva “l’aromatico”.
Oggi quel pranzo di Natale ce lo possiamo permettere anche tutti i giorni, e proprio qui sta il guaio. Ce lo possiamo permettere economicamente, ma non dieteticamente. Le chiappe sulla sedia non giustificano il moltiplicarsi delle calorie.
D’altro canto, ohei, la tradizione è tradizione. Dice: dieta mediterranea. Però a me gli involtini di verza mi piacciono di più degli arancini di riso, le rane fritte più delle vongole veraci. E allora vuol dire che bisogna fare qualcosa.
Già, ma che cosa? La risposta ce la dava Mario Musoni, il grande chef del Pino di Montescano (Pavia), scomparso pochi giorni fa. Musoni rivisitava la tradizione culinaria, si sforzava di sradicare le pratiche barbariche (come per esempio l’eccesso di grassi saturi…) e di arrivare, se si poteva, all’essenza.
Per questo ci vogliono scienza e inventiva, e lui le aveva, fino al genio. Noi no, ma possiamo inchinarci e copiare. Vi faccio solo un esempio: la più classica ricetta, quella del Risotto con i Fagioli (ch’in dal Pavés a l’è la biada ad l’omm).
Prendere una pentola antiaderente (Musoni ne aveva una con il fondo d’oro, ma pare che vada bene anche l’argento…).
A parte preparare un brodo leggero con vitello, pollo, cipolla, carota, sedano e uno spicchio d’aglio.
A parte far cuocere i fagioli (non posso specificare la quantità, purtroppo. Io vado ad occhio).
Quando sono cotti, metterne da parte otto per ciascun commensale, prendere gli altri e uno per uno schiacciarne fuori la polpa, scartando la buccia. Schiacciare la polpa per bene in modo da farne una pasta uniforme.
Nella pentola antiaderente, senza un’oncia di grasso, fare tostare del riso. Tre pugni a testa.
Quale riso? Carnaroli del Pavese, oppure (lo confesso: è migliore!) Vialone Nano veronese.
Quando è ben tostato versare del vino bianco Riesling dell’Oltrepò (o simili) e fare asciugare, poi aggiungere il brodo bollente in quantità adeguata (due mestoli per ogni mestolo di riso; se asciuga troppo aggiungere brodo).
Dopo la prima mischiata non mescolare più.
Quando il riso è cotto mantecare con la polpa di fagioli, del burro e del parmigiano (va bene anche il reggiano… e ovviamente il granone lodigiano, da non molto risorto ma in forma trasfigurata), senza esagerare né con l’uno né con l’altro. Aggiungere anche i pochi fagioli rimasti interi, che sono decorativi.
A parte prendere 40-50g a testa di pancetta coppata e farli a pezzettini, per poi rosolarli senza altri grassi. Quando hanno un aspetto croccante gettare via il grasso liquido e cospargere il riso di questi croccantini di pancetta.
Servire il riso con a parte il pepe malgascio (da usare generosamente) e dell’altro formaggio grattugiato, che come è noto è facoltativo ma va sparso sui bordi del piatto e non mischiato con il risotto.
Il piatto è tradizionale, ma rivisitato, ed è leggero da digerire. El pôr diabetich che sont mi quell deve astenersi dal riso, cereale diabolico, con un indice glicemico da coma insulinico. Perciò godetevelo voi che potete!

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