Il 25 aprile è il giorno di “Risi e Bisi”, ovvero riso e piselli. Una domanda prima di tutto: è un risotto o minestra? La risposta è spiazzante: né l’uno né l’altro. Né asciutto né brodoso: una specie di densa minestra. Un piatto veramente unico, nel suo genere.
Seconda domanda: perché proprio il 25 aprile? Perché, come molti altri, anche questo piatto è legato a una tradizione e a una data. Il 25 aprile, infatti, si celebra San Marco Evangelista, patrono di Venezia e in questo giorno si usava mangiarlo in tutte le terre della Serenissima. Piatto gustoso e nutriente ma soprattutto primaverile, perché è in questa stagione che si trovano i migliori piselli, che ne sono l’ingrediente principale. L’usanza voleva che, nel giorno di San Marco, un piatto di Risi e Bisi fosse simbolicamente offerto al Doge e a tutti i membri del Governo riuniti nella maestosa sala dei banchetti di Palazzo Ducale, come gesto augurale per la Repubblica di Venezia.
La simbologia era trasparente: il riso (che abbondava e abbonda nelle terre venete, ricche di acque) simboleggia la fertilità (e infatti è tuttora lanciato sui novelli sposi), mentre i piselli, coltivati negli orti in laguna, sono simbolo della primavera e del mondo che risorge dopo la brutta stagione. Un piatto di buon auspicio, insomma.
Un altro incrocio con la storia d’Italia si ritrova poi nell’Ottocento: durante il Risorgimento, nella Venezia occupata dagli Austriaci, i patrioti usavano la formula “Risi, bisi e fragole” (bianco, verde e rosso, come il Tricolore) per inneggiare all’Italia unita, così come a Milano si gridava “Viva VERDI” (acronimo di Vittorio Emanuele Re D’Italia).
Oggi, come tante altre specialità locali, Risi e Bisi ha perduto la sua connotazione territoriale, entrando a pieno titolo nei menu di tutta Italia con grande successo. Ma il riso migliore per prepararlo continua a essere un prodotto del Veneto: il Vialone nano, che risulta più adatto del Carnaroli perché si gonfia di meno in cottura e assorbe meno condimento, consentendo ai delicati aromi dei piselli di fare risaltare la loro freschezza primaverile. Particolarmente indicata la varietà di Grumolo delle Abbadesse, coltivata tra Padova e Vicenza.
Per quanto riguarda l’abbinamento, possiamo serenamente rimanere nelle terre della Serenissima con i suoi grandi vini bianchi: Lugana in primis, ma anche Collio, Soave, Lison e, per chi ama la bollicina, Durello dei Monti Lessini. Volendo osare un rosso, restando in zona si suggerisce il Tai Rosso dei Colli Berici, nelle sue versioni di medio corpo.