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La buona tavola nella vita e nelle opere di Verdi

Giuseppe Verdi era un raffinato gourmet e anche un bevitore attento e dal palato sopraffino. L’autore di Attila, che inaugura la stagione scaligera, è stato un amante della buona vita e nelle sue opere si possono scovare numerosi riferimenti enogastronomici.
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Giuseppe Verdi era un raffinato gourmet e anche un bevitore attento e dal palato sopraffino. L’autore di Attila, che inaugura la stagione scaligera, è stato un amante della buona vita e nelle sue opere si possono scovare numerosi riferimenti enogastronomici.

Il suo rapporto d’amore con il cibo e il vino lo ha accompagnato per tutta la sua vita. Venti giorni prima della sua morte, il 7 Gennaio 1901, nel suo appartamento del Grand Hotel di Milano, l’ottantottenne Giuseppe Verdi si fece servire: risotto alla certosina, branzino bollito con maionese, brasato di manzo, costolette di agnello, parmigiana, tacchino arrosto, insalata, dessert, frutta, gelato al rum. Il tutto con cambio di quattro vini. Il compositore di Va pensiero, figlio di un oste di Roncole di Busseto, vicino a Parma, era un gourmet molto raffinato.

Nelle sue opere, tra le più celebri e importanti del XIX secolo, sono numerosi i riferimenti al cibo e al vino. In Attila, a causa della tragedia del tema, non ce ne sono, sono più umili e più vicini alle sue origini, però tutti ricordano l’inizio del terzo atto del Falstaff con l’omonimo protagonista seduto nella mitica Osteria della Giarrettiera canta: “Taverniere: un bicchier di vin caldo.”. Falstaff è esausto, si sente vecchio, ma il bicchiere di vino lo solleva immediatamente e lo fa cantare: “Il buon vino sperde le tetre fole. Dello sconforto, accende l’occhio e il pensier”. Anche nel primo atto di Otello, Jago fa bere Cassio: “Innaffia l’ugola! Trinca, tracanna!”. Giuseppe Verdi non solo amava i piaceri della tavola ma anche la compagnia di un buon vino. Non pochi sostengono che la musica verdiana sia ricca di riferimenti al Lambrusco, inclusi con l’intenzione di promuovere il proprio territorio e i suoi prodotti.

Infatti non è solo uno degli artisti di cui l’Emilia Romagna – e l’Italia in generale – è più orgoglioso, ma è anche, a ben vedere, una delle testimonianze storiche più appassionate che, dopo oltre duecento anni dalla sua nascita, sa ancora trasmettere l’amore per la sua terra. Giuseppe Verdi ha fatto conoscere al mondo intero il suo attaccamento alle origini, al territorio del Po tra Parma e Piacenza. Ha saputo concentrare in ventisette opere tutte le sfumature dei sentimenti e delle sensazioni che mai hanno abbandonato chi è nato e cresciuto nella nebbia, nel calore, nell’arte, nei profumi, nella cucina tradizionale e nelle vaste distese di campi punteggiati da piccoli borghi.

Il padre di Giuseppe Verdi era proprietario di una piccola locanda a Roncole di Busseto dove vendeva anche vino, liquori, caffè, zucchero e altri prodotti alimentari: da qui probabilmente derivava l’amore e l’attenzione che il grande compositore ha sempre dimostrato per la terra e i suoi prodotti. Nel 1851 Verdi si trasferì in una grande casa a Sant’Agata, vicino a Busseto ma già in provincia di Piacenza: qui compose Trovatore, La Traviata, La forza del destino, Don Carlos, Aida e l’ultimo capolavoro, Falstaff. Qui preferì ricevere amici intimi piuttosto che partecipare a riunioni sociali a Parma e Milano, e qui iniziò addirittura ad interessarsi attivamente alla produzione agricola delle sue terre e all’allevamento del bestiame. Verdi amava profondamente il vino e non appena le finanze lo consentirono, acquistò il terreno intorno a Villa Sant’Agata, dove impiantò un grande vigneto. Grazie alle lettere conservate sappiamo che Verdi era un uomo abituato ad alzarsi all’alba per sovrintendere ai lavori della sua tenuta, dove allevava cavalli, mucche, pecore, e che, anche quando la musica lo portava altrove, si preoccupava di scrivere ai fattori per discutere nel dettaglio come prendere le misure per ricostruire i canali di irrigazione. Non sorprende quindi che nei testi verdiani siano presenti spesso scene legate all’enogastronomia. Non dobbiamo dimenticare che il cibo e il vino, consumati nei palchetti del teatro, sono stati il contorno delle rappresentazioni liriche per decenni.

Locande, taverne, banchetti privati e brindisi abbondano nei libretti verdiani: a volte sono solo uno scenario, a volte, come in Falstaff, luoghi chiave da cui parte l’azione. La Traviata inizia intorno ad un tavolo da pranzo: “Libiamo, libiamo ne’lieti calici”. L’Otello inizia all’esterno di un’osteria, poco dopo segue il brindisi per festeggiare il ritorno dell’eroe. Rigoletto inizia in un’atmosfera conviviale, una festa, ed è durante un banchetto, nel secondo atto, che l’ombra di Banco appare in Macbeth. I Vespri siciliani iniziano con un brindisi e sarebbe impossibile pensare a Falstaff senza l’Osteria della Giarrettiera, che non a caso appare all’inizio di tutti e tre gli atti dell’opera. A testimonianza dell’interesse che Giuseppe Verdi aveva per la buona tavola, le tante lettere scritte da lui stesso e dalla sua compagna di vita, Giuseppina Strepponi, che riportano consigli, ricette e aneddoti culinari. Tra i prodotti più popolari in casa Verdi c’erano ovviamente la spalla cotta di San Secondo e gli anolini, abbinati ad un buon bicchiere dei Colli Piacentini Gutturnio o alla Malvasia dei Colli di Parma.

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