Oltre ad aver gestito brillantemente il suo ristorante per più di due decadi, Gennaro Esposito ha avuto una notevole carriera che affonda le sue radici nella sua città natale: Vico Equense. Lavorando con grandi stelle Michelin e guadagnandosi due stelle per se stesso, questi risultati non hanno fatto altro che rafforzare la sua passione e la sua determinazione a raggiungere sempre nuove vette culinarie.
Un curriculum eccezionale: due Stelle Michelin, tre Forchette Gambero Rosso e tre Cappelli della Guida dell’Espresso. Ma qual è il momento in cui hai detto “da grande farò lo chef”?
A me le difficoltà e le insidie hanno sempre caricato tantissimo. Quando sono entrato per la prima volta in cucina durante un’esercitazione nella scuola alberghiera, il mio insegnate di cucina mi disse che avrei dovuto cambiare mestiere e che non sarei mai diventato un bravo cuoco. Lì invece capii che forse ce l’avrei fatta.
Dalle cucine di Vico Equense, ancora giovanissimo, all’alta cucina di Montecarlo e Parigi, passando da Giancarlo Vissani e Alain Ducasse. Nella tua cucina c’è traccia di ognuno?
Direi di si, anche se non saprei intercettarle precisamente però sicuramente io penso che le cucine di questi grandi Chef abbiano lasciato una traccia più o meno visibile di quelle che sono state le loro esperienze. È tutto un insieme.. non ne sento una in particolare. Tutte quante le esperienze che ho vissuto sino a oggi sono sicuramente rintracciabili nella mia cucina.
Alla fine hai deciso di fare questo mestiere nel tuo territorio. Lo senti un po’ come una missione?
Sì. Anche se spesso diventa più una missione impossibile. Noto che molti miei colleghi fanno gli imprenditori e gli chef, io devo incominciare la mia giornata facendo anche altro. Si parla di cultura e di tradizione nel proprio luogo di nascita. È molto difficile fare impresa al Sud però per me è molto importate rimanerci, è importante poter raccontare la mia terra in cucina e lo sarà sempre di più in futuro.
Parliamo del tuo ristorante la Torre del Saracino, nella millenaria torre di avvistamento sulla costiera sorrentina. Quali sono alcuni dei piatti più ricercati?
I miei clienti sono sempre più curiosi, vogliono sempre qualche cosa di nuovo quando tornano nel ristorante. I piatti più richiesti sono quelli che rappresentano la filosofia della terra del Saracino, come pesce e verdure. La freschezza, la stagionalità, la coerenza con il territorio e stilistica di una cucina con un’anima mediterranea. Questo cercano gli habitués. Chi invece viene per la prima volta è curioso e si lascia consigliare. Si lascia guidare e può quindi fare un’esperienza, una scoperta.
Per i tuoi figli Emanuele e Isabella, cucini tu o tua moglie Ivana?
Diciamo che a casa faccio volentieri l’ospite, per i miei figli ci pensa mia moglie. Mi capita ogni tanto di cucinare per loro, mi piace solleticare la curiosità e il palato dei miei bambini, anche se il mio compito è quello della ricerca delle materie prime, però mi lascio molto volentieri coccolare.
Passione, capacità, volontà e “fatica” sono sufficienti per arrivare al successo? Ci vuole anche un pizzico di fortuna?
Sicuro ci vuole sempre un pizzico di fortuna diciamo che io non sono uno che crede molto alla fortuna. Però non ho ancora trovato il colpo di fortuna, speriamo di essere prossimamente baciato dalla dea della sorte.
In cucina come vanno dosate la creatività e la tecnica, la tradizione e l’innovazione?
Io paragono questi quattro elementi a quattro ingredienti, che vanno dosati sapientemente. Per sapientemente intendo anche la possibilità di eccedere o abbondare con uno di questi quattro ingredienti e quindi di scegliere una strada, uno stile. Gli elementi che fanno grande la cucina sono sicuramente questi quattro però aggiungerei anche un’attenta ricerca dei prodotti delle materie prime. È come la schedina dell’Enalotto bisogna trova la combinazione vincente. In generale io oggi credo che esistano solo cucine interessanti e cucine poco interessanti, buone e non buone. Se sono più tradizionali o meno tradizionali, più innovative o più tecniche, sono aspetti che, secondo me, vengo un attimo dopo.
Usi ancora le terrecotte della nonna?
Certo! Le adoro e le uso tantissimo. Per alcuni piatti uso solo quelle. Anche se nella mia cucina ci sono strumenti tecnologici molto avanzati, ci sono anche forni a legna e alla brace. Io penso che per fare cucina mediterranea sia necessario l’utilizzo di strumenti e di tecniche di cottura tradizionali e storici di quest’area del mondo, ma anche l’intelligenza di applicare le più recenti tecnologie per cucinare per rinnovare la tradizione.
C’è un piatto, una ricetta particolare, che hai nel cuore?
Io scopro piatti interessanti e buonissimi, spesso piatti tradizionali, tutti i giorni. Quindi sono molto curioso in quello non do mai niente per scontato. Mio nonno che era un bravissimo cuoco cucinava veramente bene, facevo una linguina con la pera mastrantuono, che è una pera selvatica delle colline vicane, una pera in via di estinzione perche se ne trovano poche e poi tra l’altro maturano in fretta e tutte contemporaneamente. È una pera molto gustosa, croccante e soda e lui al cuoceva nella salsa di pomodoro. Le faceva ripiene con del formaggio, del prezzemolo, pasta di pinoli. Era un piatto straordinario, di un sapore che non dimenticherò mai.
Oltre alla Cucina, c’è qualche altra passione che coltivi o avresti voluto coltivare?
La musica senz’altro il cinema sono le mie due grandi passioni. Purtroppo non riesco a coltivarle perché non ho tempo.
Condividi la terra natale con Antonino Cannavacciulolo, che però vive lontano da Vico. Siete amici ma entrambi impegnatissimi. Riuscite anche a trovare il tempo per frequentarvi?
Ogni tanto sì, perché viene spesso a trovare i genitori che abitano non molto lontano da me. Quindi ogni volta che passa, viene a trovarmi perche ci vediamo molto volentieri.
Ci puoi svelare qualche news su i tuoi progetti futuri?
Siamo molto concentrati sul nuovo menu sui nuovi piatti perché rappresentano non solo elemento di curiosità per chi viene qui a mangiare, ma anche un elemento di confronto e di sfida.
Hai ideato anni fa la “Festa a Vico”, l’edizione 2017 si intitolava “Non siamo di un altro mondo”. Ci spieghi il messaggio?
Si parlava dello chef e della percezione del pubblico dello chef, fondamentalmente una star, una figura dell’altro mondo. Al contrario, gli chef sono sempre più impegnati sul fronte sociale, come Massimo Bottura ma anche tanti altri miei colleghi, sono tutti impegnati dal punto di vista sociale. Tutti quanti insieme, quando vengono alla festa a Vico, facciamo tutti questi sforzi sempre per beneficenza, per cercare in qualche modo di salvare questo pianeta, perche siamo sensibili a quello che succede intorno a noi.
Aumentano ogni anno i giovani che aspirano a diventare chef. Secondo te è più una moda, un ripiego o reale passione?
Sicuramente l’esposizione mediatica ha creato ha puntato molto i riflettori sulla figura dello chef come professione quindi c’è anche molta curiosità da parte dei giovani. Le mode però possono anche passare, dobbiamo aspettare e lo scopriremo.
A questi giovani aspiranti chef che messaggio ti sentiresti di dare?
Che si tratta di un mestiere meraviglioso che ti premia e ti restituisce tutti i sacrifici… e non sono pochi. Io consiglio sempre di approcciarsi con grande curiosità e con spirito, con passione, serietà e lealtà nei confronti soprattutto dei clienti. Noi portiamo a tavola un piatto che la persone poi mangeranno, questa è una cosa molto importante. Un rito con una sacralità che secondo me non deve mai essere dimenticata.