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Il Tuchì, una gemma poco nota della Pianura Padana

Da quando il Tocai non ha più potuto chiamarsi con il suo nome, i produttori italiani di questo affascinante vitigno, ricco di storia e tradizione, sono andati in ordine sparso (ingenerando anche non poca confusione sul mercato): in Friuli l’hanno chiamato Friulano, mentre in Veneto si chiama Tai bianco.
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Sui motivi per i quali oggi queste uve si chiamano così, sui torti, forse le prepotenze, e sulle occasioni perdute, non torneremo, qui. Fatto sta tuttavia che, da quando il Tocai non ha più potuto chiamarsi con il suo nome, i produttori italiani di questo affascinante vitigno, ricco di storia e tradizione, sono andati in ordine sparso (ingenerando anche non poca confusione sul mercato): in Friuli l’hanno chiamato Friulano, mentre in Veneto si chiama Tai bianco.

Restarono fuori i lombardi, che nella zona di San Martino della Battaglia (in provincia di Brescia), incuneata tra Lugana e Riviera del Garda Classico, producono a loro volta, su 21 ettari di terreno, circa 50 mila bottiglie di Tocai: alle loro uve fu riservato il nome dialettale – quasi affettuoso – di Tuchì.

Ad onta di tutta questa vicenda, va detto che il Tuchì San Martino della Battaglia doc non è certo un prodotto minore rispetto ai suoi confratelli del nordest: è infatti un vino importante, presente sulle tavole della zona già al tempo della (sanguinosissima) battaglia risorgimentale tra franco-piemontesi da una parte e austroungarici dall’altra.

Pur presentando ovvie ed evidenti affinità tra loro, e comuni caratteristiche legate al terroir, i Tuchì delle sei cantine della denominazione – Cadore, Citari, Cobue, La Feliciana, La Rifra, Selva Capuzza – mettono in mostra anche differenze che testimoniano la vivacità e le potenzialità di questi vini.

Si tratta di differenze che derivano principalmente dal tipo di suolo su cui le uve vengono allevate: i terreni morenici innervati anche di argille calcaree ricche di sali minerali danno infatti vini più sapidi, finemente profumati e di struttura equilibrata, mentre i suoli ove prevale l’elemento calcareo portano a ottenere prodotti che si distinguono per eleganza, maggiore evoluzione dei profumi e intensità del gusto (e anche più longevi).

Note comuni di questi vini dal colore dorato sono la freschezza, il gusto secco ma rotondo e la delicatezza con cui si propongono, propria di chi ha una solida tradizione alle spalle e non deve lucrare facili ma fragili consensi.

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