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Andrea Berton: ambasciatore della cucina italiana nel mondo

Vincere quattro stelle Michelin in tre ristoranti in ventisette anni di carriera è qualcosa che la maggior parte degli chef può solo sognare. Andrea Berton, tuttavia, lo fa quasi sembrare facile, anche se la sua incredibile etica del lavoro dimostra quanto bisogna mettere in gioco per diventare uno chef italiano leggendario.
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Vincere quattro stelle Michelin in tre ristoranti in ventisette anni di carriera è qualcosa che la maggior parte degli chef può solo sognare. Andrea Berton, tuttavia, lo fa quasi sembrare facile, anche se la sua incredibile etica del lavoro dimostra quanto bisogna mettere in gioco per diventare uno chef italiano leggendario. Uno degli chef più celebrati di Milano, Andrea Berton è un modello per i cuochi di tutta Italia grazie alla sua cucina, alla dedizione agli ingredienti buoni e all’etica del lavoro. Ha lavorato in alcuni dei migliori ristoranti del paese e ne ha aperti alcuni suoi.

Nato nel 1970 e cresciuto a San Daniele, il Friuli ha fatto sì che Andrea fosse circondato da vini e prosciutti pregiati per i quali la regione è famosa. Sua madre era un’appassionata cuoca di casa, e lui la guardava sempre mentre cucinava la cena di famiglia ai fornelli. Il suo primo ricordo è stato mettere il pane oliato su un forno a legna e bruciarlo a sei o sette anni, per poi scoprirne il sapore di pane affumicato.

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La cucina di Andrea valorizza i fantastici prodotti friulani e gli piace prendere ingredienti semplici come il pane e trasformarli in capolavori stellati Michelin. Gli piace particolarmente sperimentare con il riso, creando pasta, patatine e purè di grano. E’ chiaro che si tratta di un uomo che ha lavorato sodo a ciò che ama e che ora viene premiato con il suo rinomato ristorante. Abbiamo avuto l’occasione di incontrarlo durante Taste of Milano.

Raccontaci un po’ il tuo passato in tenera età, quando osservavi la mamma mentre cucinava?

Ma in realtà non è che scrutassi molto mia madre mentre cucinava, perché non cucinava molto. La cosa che mi piaceva fare, quando i miei genitori mi portavano al ristorante da bambino, all’età di otto anni, era mettermi davanti alla porta della cucina e guardare quello che accadeva, i cuochi che si muovevano. Questo mi incuriosiva molto. Dopo due o tre volte che andavo nel ristorante mi facevano anche entrare in cucina per cercare di capire la trasformazione degli ingredienti. Mi interessava molto questo aspetto qui ed evidentemente da lì in poi è scattato questo meccanismo che mi ha portato a far diventare quei processi un lavoro.

Poi hai iniziato a lavorare con il grande Gualtiero Marchesi. Cosa ti ha lasciato?

Gualtiero per me è stato un maestro che mi ha dato molto perché ho iniziato a lavorare con lui. È stato il mio primo posto di lavoro, per questo è stato molto significativo. Da lì ho capito l’importanza di questo mestiere, l’importanza delle materie prime, l’importanza di rispettare gli ingredienti. Questo me l’ha trasmesso Gualtiero Marchesi.

Cosa vuol dire essere uno chef italiano?

Essere uno chef italiano vuol dire avere delle responsabilità verso i clienti, verso i fornitori, verso il mondo del cibo in generale perché comunque noi dobbiamo creare piacevolezza ai nostri ospiti ma lo stesso tempo dobbiamo anche creare situazioni stimolanti perché il cliente oggi si aspetta questo. Per questo dobbiamo essere seguiti da persone che collaborano con noi, la brigata che ci segue, e questo è un aspetto molto importante che magari da cliente non si percepisce però ha un’importanza rilevante in tutto quello che facciamo.

Ai giovani che vogliono intraprendere questo mestiere, siccome è un mestiere un po’… diciamo sulla bocca di tutti, voi chef ormai siete dei vip, che consigli potresti dare?

A un giovane darei i consigli che tutti dovrebbero già sapere quando si inizia a lavorare: essere umili, ascoltare quando ti vengono dette le cose e analizzarle, non dare nulla per scontato. Anche essere molto curiosi è importante e se uno ha anche una sensibilità al palato per percepire i gusti è ancora meglio.

Un piatto che ti riesce meglio?

Più che un piatto che mi riesce meglio, mi piace utilizzare molto il riso come ingrediente, fare risotti o usare il riso come ingrediente per delle creme o altre situazioni. Per esempio faccio delle chips di riso al ristorante che servo con l’aperitivo. Il riso come ingrediente si declina molto nella mia cucina.

Il tuo domani quale potrà essere? hai qualche sogno nel cassetto, qualche nuova apertura?

Il mio sogno, chiamiamolo così, è riuscire ad aprire almeno venti ristoranti, per adesso ne ho sei.

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E noi te lo auguriamo… ma come si fa a gestire sei strutture, riuscire a mantenere un certo fil rouge fra i vari ristoranti?

Bisogna innanzitutto essere supportati da dei collaboratori molto validi, costruire una squadra che ti segue che è cosciente delle responsabilità che deve avere e quindi sulla base di questo poi dopo si possono realizzare delle altre attività degli altri ristoranti che devono rispettare la tua filosofia e allo stesso tempo, declinare, a me piace molto diversificare l’offerta. Quindi diversificando si può fare.

Il modo di vivere la cucina sta cambiando di anno in anno, per esempio per via delle intolleranze alimentari, tu come vedi e percepisci questo cambiamento?

Credo che sia un adattamento a quello che è oggi la richiesta del pubblico. I clienti forse sono diventati più esigenti, giustamente. Ci sono delle intolleranze che forse in passato non venivano considerate e oggi sono prese in considerazione, quindi anche noi dobbiamo essere pronti e preparati a soddisfare questo tipo di esigenze. Anche da parte nostra ci deve essere la preparazione per servire piatti adatti a tutti.

Come scegli le materie prime?

Normalmente sono io che vado alla ricerca dei produttori e dei prodotti adatti alla mia cucina. Ho il mio stile quindi la qualità al servizio della lavorazione del prodotto sono centrali. Queste sono le basi. Da parte mia c’è un grande interesse a valorizzare chi lavora in questo modo. I fornitori sono una risorsa fondamentale per noi perché senza di loro non potremmo far niente.

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Come ci si sente ad essere un ambasciatore dei prodotti e della cucina italiana nel mondo?

Chiaramente quando vado all’estero valorizzo la cucina italiana, valorizzo il nostro lavoro, soprattutto cerco di promuovere i nostri prodotti e il nostro stile italiano. Nel mio piccolo penso che venga apprezzato e me ne rendo conto quando vado ogni volta all’estero perché continuano a invitarmi per cene ed eventi legati al mondo della cucina italiana.

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