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Nel cuore del Chianti

Una realtà unica nel suo genere.

Nel cuore del Chianti Classico, Tenuta Casenuove, è una realtà unica nel suo genere, per l’adozione di metodi di allevamento e di vinificazione assolutamente originali e improntati alla ricerca della massima qualità. Per limitare il rendimento (in media 30 ettolitri/ettaro) la densità delle viti è stata fissata a 5.600 piedi per ettaro e, tra i filari, sono seminati cereali e leguminose che hanno la doppia funzione di concime naturale e, assieme alla pacciamatura, di favorire l’assorbimento dell’umidità. Queste colture contribuiscono anche a stabilizzare e ad alleggerire il suolo, rivitalizzando l’attività microbica. In vigna non si utilizzano fertilizzanti chimici ma solo concimi organici. Tutti i vitigni trovano il modo di raggiungere il proprio equilibrio e si rafforzano senza l’utilizzo di diserbanti, e i trattamenti necessari si limitano alla poltiglia bordolese a base di rame e zolfo.

Una volta arrivati in cantina, i grappoli di uva sono diraspati, selezionati e introdotti in vasche di cemento. La fermentazione avviene a temperature controllate con graduale e delicata estrazione dei tannini, ultimata con una leggera pressatura. L’obiettivo è di valorizzare la freschezza del frutto e l’eleganza dei tannini.

Dopo la fermentazione alcolica e malolattica, i vini invecchiano in botti, barrique o foudres da 500 litri, a seconda della loro idoneità al legno e al profilo che si vuole loro conferire. Prima di essere imbottigliati, riposano da 12 a 18 mesi nella quiete della cantina.

La vendemmia avviene esclusivamente a mano, conservando l’integrità dei grappoli che giungono alla cantina in tutta la loro freschezza. Uno studio del suolo ha permesso di suddividere i vigneti della Tenuta in una cinquantina di unità, ognuna delle quali è seguita fino alla vendemmia.

Le sculture di cristallo dell’artista Pascale Martine Tayou rendono omaggio alle donne e agli uomini che contribuiscono a riportare Tenuta Casenuove al suo splendore e sono installate in giro per la proprietà.

Ed è proprio a Maria Sole Zoli, enologa della Cantina che Me Gusta Magazine ha chiesto come e quando è nata la sua passione per il mondo del vino?

“In parte sicuramente sono stata influenzata da mio padre e della sua passione per il vino, anche se la scelta di studiare Viticoltura e Enologia ha suscitato un certo scetticismo intorno a me, ragazza di città, fino ad allora appassionata di filosofia. Qualcosa in me ha da subito avuto il desiderio di smentirli, ma il vero momento di passaggio è stata l’esperienza della prima vendemmia, nell’azienda Avignonesi, nel 2013. L’energia della squadra di giovani tecnici e la gestione biodinamica mi hanno dato una visione di questo lavoro che tutt’ora resta con me. Non posso non trovare un nesso stretto tra quei momenti e il punto in cui il mio percorso mi ha portato, quasi dieci vendemmie più tardi”.

Come è arrivata al progetto di Tenuta Casenuove, con la sua tecnologia e la sua attenzione al biologico?

“Ho trascorso tre anni in Francia, in prevalenza a Pomerol, e un breve periodo in Central Otago, Nuova Zelanda. Tramite Alessandro Fonseca, sono rientrata in Toscana per un colloquio con un’altra azienda del Chianti Classico, ma non appena arrivata per discuterne i dettagli con lui a Tenuta Casenuove, ancora nel pieno della fase di ristrutturazione, mi si sono illuminati gli occhi, e un po’ per caso da qui è partito un percorso che dura da tre anni. È stata un’opportunità unica, una ripartenza da zero da seguire in tutte le sue fasi, con una filosofia produttiva incentrata totalmente sulla qualità, con interventi minimi, operazioni interamente manuali, un’unica materia prima da rispettare e valorizzare, senza entranti o additivi. La gestione biologica è quanto di più innato ci possa essere in un terroir come quello di Panzano: la nostra viticoltura vuole essere il compimento dello studio e della comprensione del territorio che ci accoglie”.

E come vede l’enologia del futuro?

“Credo che siamo molto fortunati a operare in un periodo di riscoperta dei vitigni autoctoni e del vino come espressione sincera del territorio. È un momento molto felice; ed è una tendenza che spero e soprattutto credo non svanirà rapidamente. Sarà interessante vedere come questo si dovrà confrontare coi progressivi effetti del cambiamento climatico, come dovremo nuovamente imparare a leggere le stagioni, nella gestione del vigneto e nelle vinificazioni. Ma d’altronde è proprio questo l’obiettivo e la bellezza del nostro lavoro: la curiosità e la ricerca, un ciclo naturale con la sua variabilità costante con cui misurarci e da interpretare.

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