Più Oriente e meno Europa per i vini italiani. Nel prossimo quinquennio, l’export verso la Cina è destinato infatti ad aumentare del 38,5%, unitamente (sanzioni permettendo) a quello verso la Russia (+27,5%). E questo mentre l’Europa (UK e Germania in testa), vedrà una crescita che si limiterà al 10%. Queste le indicazioni di uno studio condotto da Nomisma Wine Monitor e da Vinitaly, presentato in occasione della 52esima edizione della rassegna veronese. Ci attende quindi una vera propria migrazione delle vendite!
“Il vino si è profondamente trasformato, da bevanda storica del Vecchio Continente a simbolo globale del Lifestyle
Lo stesso periodo vedrà l’Italia affermarsi come principale esportatore di vino in 16 paesi (contro le 29 nazioni in cui sarà la Francia a farla da padrone). Italia leader indiscusso, invece, per quanto riguarda le bollicine, con un aumento previsto del 240%, a fronte di una media mondiale del 50%.
D’altra parte, il vino stesso, sia come prodotto che come percezione, si è profondamente trasformato: da bottiglia al centro della tavola a bene voluttuario, da abitudine quotidiana a elemento di costume, da bevanda storica del Vecchio Continente a simbolo globale del lifestyle, in una crescita che sta portando bianchi, rossi e rosati fuori dal mondo dove sono nati.
Gli scenari che si aprono ci descrivono un mercato monstre, che per le sole cantine vale circa 31 miliardi di euro l’anno di export. Per l’Italia, che contende alla Francia il ruolo di principale produttore mondiale e che vede il consumo interno diminuire costantemente (sia pure a fronte di una crescita sul piano qualitativo) si tratta di una tendenza ricca di opportunità per un prodotto che è il principale asset del nostro export agroalimentare (quasi 6 miliardi di euro il valore esportato nel 2017). Ma, per sfruttarla appieno, i produttori dovranno imparare a operare non solo in vigna e in cantina, ma anche sui mercati, nel marketing, nelle praterie digitali.
Le prospettive sono quindi allettanti ma allo stesso tempo allarmanti per l’Italia. Da un lato infatti il settore è cresciuto negli ultimi 10 anni, con una crescita tendenziale in valore (+69%) doppia rispetto a quella francese; dall’altra invece c’è una lontananza siderale dai mercati del futuro, quel Sud del mondo (più la Cina) in cui il nostro share di vendite non raggiunge mai – o quasi – la doppia cifra.
Le cause? Strutturali, geopolitiche, di marketing e commerciali: siamo ancora troppo poco organizzati nel posizionare un prodotto il cui fattore discriminante sarà sempre più quello del prezzo. Oggi, per sopperire alle limitate dimensioni delle nostre imprese e per penetrare nei mercati più lontani occorre più che mai puntare sul brand Italia e sull’unione degli sforzi.