Vino arancione? Ma di che cosa stiamo parlando? Già ci sono il vino rosso (che poi è amaranto, granata, a volte viola e che alcuni chiamano nero), il vino bianco, che in realtà è giallo (paglierino, dorato, addirittura verdognolo) e il vino rosato, con le sue centinaia di sfumature: tanti colori uno più bello dell’altro. E l’arancione, allora? Iniziamo col dire che anche in questo caso il colore non è proprio l’arancione che tutti conosciamo, quello dello spritz o dell’aranciata in lattina: è invece una tinta ambrata, più o meno carica.
Il termine orange wine è stato coniato in Gran Bretagna, nei primissimi anni di questo secolo. Da noi questi vini sono definiti anche come bianchi macerati o fermentati sulle bucce. Oppure, per l’appunto, vini ambrati.
Tecnicamente parlando, si tratta di vini ottenuti da bacca bianca, vinificati, di fatto, in rosso, ossia lasciando il mosto a contatto con le uve, anche per molti mesi (fino a sei). Si tratta infatti di una procedura analoga a quella utilizzata per i vini rossi e diversa da quella adottata per i vini bianchi normali, in cui le bucce sono separate del succo fin dalla fase fermentativa (e questo è il motivo per il quale si possono ottenere vini bianchi sia da uve bianche sia da uve rosse).
Il contatto prolungato con le bucce, anche di uva bianca, conferisce al vino il suo colore ambrato-arancione e una complessità organolettica superiore alla maggioranza dei vini bianchi.
Le bucce contengono infatti antociani (pigmenti coloranti), tannini e polifenoli che apportano a questi vini forza, complessità e carattere, oltre a una maggiore predisposizione all’invecchiamento.
In Italia, i vini bianchi fermentati con le bucce sono stati relativamente diffusi fino agli Sessanta, ma successivamente sono stati soppiantati, sul mercato e sulle tavole, dai classici vini bianchi vinificati in bianco.
“Produrre vini arancioni non è affatto facile” spiega il wine journalist Giacomo Bertolli“perché occorre controllare e gestire un processo di fermentazione spesso molto lungo e complesso. Aggiungendo che si tratta di un prodotto poco noto e di difficile collocazione sul mercato, sono relativamente poche le aziende (di norma molto piccole) che si cimentano nella produzione di questi vini”.
“Si stratta di una produzione di nicchia” aggiunge Bertolli“che però ha buone prospettive di sviluppo, sia per l’ottima qualità delle etichette oggi sul mercato, che fanno da apripista, sia per la continua ricerca di novità da parte del consumatore”.
I vini arancioni sono prodotti in numerose regioni d’Italia ma quella in cui si concentra il maggior numero di produttori è il Friuli-Venezia Giulia. “I vitigni utilizzati” conclude Bertolli“sono diversi: gli orange wine che ho avuto modo di assaggiare erano fatti nella maggior parte dei casi con Malvasia istriana, Ribolla Gialla e Vitovska, ma non sono certamente le uniche varietà di uve adatte”.
Gli orange wine italiani hanno prezzi medi, dai 14 euro in su (naturalmente si trovano bottiglie di costo anche molto superiore). Nelle enoteche la loro reperibilità è scarsa, ma si possono invece trovare ottime opportunità contattando direttamente le cantine e acquistando per e-commerce.