È stata approvata alcuni giorni fa la modifica del disciplinare del Chianti Classico in quello che lo stesso Consorzio ha chiamato UGA: Unità Geografiche Aggiuntive, in parole povere “cru”, in pratica la zonazione del territorio per una loro definizione. È un cambiamento epocale, che prevede, nella sua completa implementazione fra tre anni, un diverso legame col territorio ed un rapporto più diretto tra questo e il consumatore. I cambiamenti innescati saranno estremamente interessanti, positivi per le aziende, su un modello che indubbiamente è francese, di Bordeaux e in parte della Borgogna.
La partenza sono considerazioni di diversità anche e soprattutto fisica del territorio, che saltano agli occhi di chiunque conosca il Chianti Classico, quest’ovale che si estende tra la periferia Sud di Firenze e il confine Nord di Siena, per circa 60 km e che ospita il più conosciuto vino italiano, appunto il Chianti Classico. Greve in Chianti e Tavarnelle hanno delle valli che potrebbero essere in pianura padana, ma a pochi chilometri, verso Lucolena, il paesaggio diventa dolomitico, Castellina in Chianti ha degli scorci da Prealpi, Radda e Gaiole ricordano le colline dell’Umbria, Castelnuovo Berardenga, ha un po’ di tutto. Proprio a Castelnuovo un gruppo di aziende ha fatto uno studio particolareggiato sulle tipologie dei vari terreni, il terroir, per dirla alla francese, arrivando alla conclusione che sono almeno tre: a base sabbiosa, di argilla e galestro, con differenze produttive notevoli in termini di struttura del vino delle varie zone, a seconda della morfologia del terreno dove è piantata la vite.
La zonazione prevederà quindi la suddivisione del territorio in aree più ristrette, dotate di maggior omogeneità, arrivando ad indicare in etichetta il nome del villaggio nella cui area sono state prodotte le uve che hanno dato origine a quel vino. Si conta così di intercettare e soddisfare l’interesse dei consumatori a conoscere più nel dettaglio il rapporto del vino con il luogo specifico di origine. Insomma una maggior riconoscibilità enologica basata sulla storia e sul territorio, che si dovrebbe riflettere anche nella qualità. Non cambierà nulla di quanto già accade, i vini di Castelnuovo Berardenga continueranno a “brunellegiare”, come già si dice, assomigliando al Brunello più di altri, ma tutto questo diverrà più riconoscibile e codificato.
La modifica del disciplinare prevede la suddivisione del territorio nelle seguenti zone: San Casciano, Greve, Panzano, San Donato in Poggio (comprensivo di Barberino, Tavarnelle e Poggibonsi) Radda, Castellina, Gaiole, Castelnuovo Berardenga, Lamole, Montefioralle, Vagliagli. Per queste ultime tre villaggi, Vagliagli Lamole e Montefioralle, più piccoli e ritenuti meno pronti al cambiamento, la modifica del disciplinare è stata posticipata di tre anni. Un triennio ritenuto utile per la crescita della riconoscibilità e significatività enologica, indispensabile per integrarsi in maniera omogenea e coerente con le altre otto menzioni. “La modifica del disciplinare, che prevede l’inserimento del nome del villaggio in etichetta, accompagnata da una modifica della base ampelografica, riguarderà per il momento solo la Gran Selezione, per toccare l’intera gamma del Chianti Classico, l’annata e la Riserva nei prossimi quattro anni. “ dice Giovanni Manetti, Presidente del Consorzio del Chianti Classico. Da subito la Gran Selezione passa dall’80% al 90% minimo di sangiovese, con un 10% sempre di sangiovese o di qualche altro vitigno autoctono .
La portata di questi cambiamenti è enorme, e la direzione è quella tracciata dalla Francia, soprattutto da Bordeaux e dalla Borgogna. Meno contenti gli imbottigliatori del Chianti Classico, che si vedono portar via una fetta di popolarità e margini di manovra. Ma era ora e tempo che ci si mettesse mano. In un territorio con oltre 200 aziende di cui 154 producono la Gran Selezione, gli imbottigliatori la fanno da padroni. All’assemblea del Consorzio del Chianti Classico non si vota per singola azienda, ma per numero di bottiglie prodotte, e quindi gli imbottigliatori, che producono un numero maggiore di bottiglie della somma di quanto prodotto dalle singole aziende, che per loro natura hanno dimensioni minori, fanno cartello ed hanno vita facile in quanto non esiste diversificazione in etichetta tra il Chianti Classico acquistato e commercializzato da un imbottigliatore e quello imbottigliato “all’origine” dalla singola azienda, il cui ciclo produttivo ha dei costi enormemente superiori. Si è discusso tanto e senza risultato sulla possibilità di creare un vino di “ricaduta”, come esiste a Bordeaux, la zonazione dovrebbe ovviare a questa mancanza.
Anche a Bordeaux esiste il vino di Bordeaux, commercializzato dagli imbottigliatori, di qualità e prezzo modesto, ma poi esistono i “premiere grand crue classè”, e “deuxieme gran crue classè”, cioè i grandi Chateux del bordolese, da Margaux ad Ausone a Domain de Chevalier, nelle cui etichette si specifica il villaggio d’origine, Margaux, Saint Emilion, Saint Estephe, con cui nessuno si sognerebbe di confondere una normale bottiglia di Bordeux. La Borgogna è più variegata, in quanto le aziende tendono ad essere più piccole, ma sostazialmente lo schema è il medesimo. Sembra complicato in realtà non lo è: è difficile per un’azienda produrre solo eccellenza, e comunque non tutte sono in grado di farlo, o non lo vogliono fare perché trovano più conveniente produrre quantità invece di qualità, quindi il Chianti Classico commercializzato dagli imbottigliatori potrebbe essere un vino di ricaduta, prodotto sempre all’interno del territorio, ma di qualità e prestigio inferiore. Le varie aziende poi commercializzerebbero i loro vini con i loro nomi e la denominazione di origine specifica, che a questo punto acquisterebbe un valore, anche commerciale, particolare. La diversità del territorio rende diversi i vini, e quindi maggiormente identificabili, mentre il Chianti Classico degli imbottigliatori non avrebbe caratteristiche di questo tipo, sarebbe un assemblaggio di vini diversi, non identificabili territorialmente. Meno prestigioso, e quindi con un prezzo inferiore, ma pur sempre con una sua dignità qualitativa e commerciale, e probabilmente una diffusione maggiore sul mercato. Oggi tale differenziazione non esiste, e ciò crea solo confusione nel consumatore.
Inutile dire che la strada sarà ancora lunga. La sistemazione vitivinicola italiana è ancora giovane, la Francia ha iniziato prima della rivoluzione francese, già nel 1600, noi una cinquantina di anni fa. È vero che in Italia si produce vino dal tempo degli etruschi, e siamo il paese che la maggior varietà ampelografica al mondo, ma nessuno ha ancora sistemato questo universo di vitigni e denominazioni. Però un lungo viaggio comincia sempre col primo passo, e questo è un passo importante, in grado di condizionare il futuro. Il Chianti Classico è probabilmente la DOCG in Italia il cui valore qualitativo medio dei vini prodotti dalle varie aziende è più alto, però questo non si traduce in un prezzo adeguato della singola bottiglia. Per rendersene conto basta fare una degustazione trasversale di Chianti Classico ad esempio al Vinitaly. I prodotti non di qualità sono pochissimi, senz’altro molto di meno che in altri denominazioni, Brunello di Montalcino incluso. Si può dire che i vini della zona meridionale del Chianti Classico “brunelleggiano”, ma tale riferimento rimane solo nella qualità del prodotto, non nel prezzo al pubblico della bottiglia. Un meccanismo binario come quello messo in moto dalle Unità Geografiche Aggiuntive sarebbe un modo per premiare anche economicamente le aziende che fanno eccellenza, su un quantità limitata di prodotto.