Prima di arrivare a “Chiude l’Italia” (titolo di Repubblica) e a “L’ultimo sacrificio” (titolo de Il Fatto Quotidiano) che, secondo noi, andrebbe aggiunto un punto interrogativo, la necessità di contenere la diffusone del coronavirus ha conosciuto diverse fasi: da “Milano non si ferma” a “Rimanete in casa il più possibile”. E, quindi, dall’invito a non disertare la vita sociale per paura del coronavirus all’obbligo di stare a casa. Tutto nell’arco di due settimane. Con le giravolte di qualche politico che prima strombazza l’invito a non farsi prendere dal panico e, poi, salta sul carro del nuovo slogan.
Poi arriva il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri con una serie di ristrettezze per cercare di bloccare la diffusione del virus. “Si poteva fare di più”, ha detto il Presidente della Lombardia, Attilio Fontana, aggiungendo “dopo un’attenta valutazione del testo del Dpcm, anche con i sindaci dei capoluoghi e con Anci, bisogna risolvere alcuni temi ancora irrisolti, a partire dalla sicurezza dei lavoratori impegnati nelle filiere produttive lasciate operative dal decreto. Ci sono degli ambiti che non sono stati presi in considerazione rispetto alle richieste che avevamo mandato a Roma”. Un documento inviato al Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte con il quale Fontana chiedeva una sorta di chiusura della Lombardia. Partendo dalla “chiusura di tutte le attività commerciali al dettaglio, ad eccezione di quelle relative ai servizi di pubblica utilità, ai servizi pubblici essenziali, alla vendita di beni di prima necessità. Chiusura di tutti i centri commerciali, degli esercizi commerciali presenti al loro interno e dei reparti di vendita di beni non di prima necessità. Restano aperte le farmacie, le parafarmacie e i punti vendita di generi alimentari e di prima necessità. Chiusura di bar, pub, ristoranti di ogni genere, delle attività artigianali di servizio (es. parrucchieri, estetisti, ecc..) ad eccezione dei servizi emergenziali e di urgenza, di tutti gli alberghi e di ogni altra attività destinata alla ricezione (es.ostelli, agriturismi, ecc..) ad eccezione di quelle individuate come necessarie ai fini dell’espletamento delle attività di servizio pubblico, di tutti i servizi terziari e professionali, ad eccezione di quelli legati alla pubblica utilità e al corretto funzionamento dei settori richiamati nei punti precedenti”.
Qualche sentore che la situazione fosse difficile si era palesata quando gli organizzatori di Mido, il più grande salone mondiale dell’occhialeria prima e quelli della manifestazione, il Salone del mobile, che a Milano è una sintesi, contestualmente, di business, cultura e voglia di tirar tardi, decidono di fare slittare le manifestazioni a tempi che si sperino più tranquilli – i mesi di luglio e di giugno – avrebbero dovuto far riflettere prima di invogliare la gente a non farsi prendere dal panico. Poi, sempre restando a Milano, ci sono stati diversi ristoratori che autonomamente decidevano di “chiudere” per tutelare la salute propria, del personale e dei clienti, quando veniva deciso la chiusura di bar e ristoranti alle ore 18, per eliminare la ressa dell’happy hour. Con qualche ironia tipo “ma sino alle 18 il coronavirus è in pausa pranzo”? Ma, i risultati non hanno dato esito positivo. Così, con il crescere dei contagi, oltre 100 operatori tra ristoratori ed enotecari, creano il “Comitato Ristoratori Responsabili”, per chiedere provvedimenti più drastici per vincere la guerra contro un nemico invisibile, come, per esempio, l’ “opportunità di chiudere del tutto gli esercizi di somministrazione: meglio un periodo di contenimento più severo ma più limitato nel tempo”.
Il Comitato Ristoratori Responsabili, questa richiesta l’ha fatta con una lettera aperta indirizzata al Presidente del Consiglio dei Ministri, Presidente della Regione Lombardia, Ministro della Salute e Sindaco della Città Metropolitana di Milano.
Lettera che riportiamo integralmente:
Finalmente si arriva a “Virus, l’Italia adesso è blindata” (titolo del Corriere della Sera). Con un primo appuntamento a mercoledì 25 marzo, per valutare i comportamenti del coronavirus. Se arretra, pare di capire, il 4 aprile si potrà festeggiare un’altra giornata per esaltare la liberazione dell’Italia, questa volta da un nemico che nel colpire è molto democratico perché non fa nessuna distinzione.
Il dopo, dicono gli esperti, sarà terribile, specialmente per il tessuto economico. Perciò la classe politica invece di dire “faremo, faremo”, farebbe meglio parlare al passato “abbiamo fatto questo …”, prima di passare a quest’altro.
Intanto il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha deciso la costituzione di un Fondo di Mutuo Soccorso destinato ad “aiutare coloro che più di altri sono messi in difficoltà dalla situazione che stiamo vivendo e, successivamente, a sostenere la ripresa delle attività cittadine”. Il fondo, che si aggiunge allo stanziamento di 3 milioni di euro già approvato dal Consiglio comunale, è aperto alla partecipazione economica di singoli cittadini, di imprese e associazioni che vogliano dare il loro contribuito.
I versamenti al Fondo si possono effettuare sul conto di Intesa Sanpaolo con iban IT58G0306901783100000000551